La famiglia Seracca Guerrieri ha voluto festeggiare i vent’anni di legame con il Gruppo Italiano Vini
Ci deve essere una regola aurea segreta secondo la quale ciò che vale per il tessuto imprenditoriale salentino “altro”, soprattutto quando si parla di piccole imprese, sembra non valere per il settore vitivinicolo: la famiglia, l’impresa familiare, la conduzione parentale dell’azienda, spesso considerate elementi di criticità, per il mondo del vino si traduce quasi sempre in una straordinaria forza, un valore aggiunto, un’energia incredibile capaci di risultati pazzeschi. Storie di successi imprenditoriali, di scelte e gestioni oculate, maturate nell’alveo degli affetti: una solidità che affonda le radici nel terreno ricco e fecondo delle famiglie.
Tutto questo mi affascina tantissimo.
È il caso – ma davvero ce ne sono tanti in questo meraviglioso universo enologico – della famiglia Seracca Guerrieri, proprietaria da 99 anni di Castello Monaci, azienda vitivinicola nella zona di confine fra Salice Salentino e San Pancrazio Salentino.
Castello Monaci, racchiude in due parole la storia di sei lunghi secoli, a partire dal 1500 – come risulta da un documento Onciario di Salice Salentino – quando fu realizzato e poi utilizzato dai Monaci Basiliani come luogo di culto, meditazione e rifugio. È stata dimora di nobili famiglie (Martino, Parry Graniger, Provenzano di Ugento, la cui ultima discendente, coniugata Memmo, ne detiene attualmente la proprietà) ed ha subito rimaneggiamenti e trafugamenti, sino al periodo della seconda guerra mondiale ed oggi conserva tutto il fascino della storia grazie anche alla cura della famiglia, al gusto e allo stile con cui Castello Monaci si apre all’esterno, non solo come produttore di vini ma anche come struttura di ospitalità. Al suo interno infatti, le Scuderie ospitano dieci lussuose stanze arredate seguendo il tema del vino e Casina Metrano, piccolo casale cinquecentesco e adibito a wine resort. Entrambe le strutture sono seguite da Vittoria Seracca.

L’ubicazione di Castello Monaci è singolare e spiega molto di ciò che si trova in calice: è a ridosso di Salice Salentino, patria del Negroamaro, che però non è l’unico vitigno ad esprimere lo stile enologico della cantina. In realtà ci troviamo a due passi da tre province diverse, Lecce, Brindisi e Taranto, che significa due mari (Jonio e Adriatico) e dunque terreni con caratteristiche diverse che si riverberano poi nelle uve allevate e brezze marine che dai due lati rinfrescano i 200 ettari di vigneti (e tremila piante di ulivi!). Negroamaro, Primitivo e Malvasia Nera di Lecce, sono gli autoctoni principalmente allevati, insieme a Verdeca, Fiano, Chardonnay, per etichette che si ispirano alla storia e alla mitologia: da Artas, temuto re dei Messapi, ad Aiace, leggendario eroe dell’Iliade e poi: Medos, Kreos, Maru, Piluna.
Tutto questo è stato raccontato in occasione di una serata davvero speciale e curata nei minimi dettagli: “This is me” cioè “questo sono io”, a spiegare ancora una volta come il “noi” familiare si trasforma in un solido e compatto “io”. La famiglia ha voluto festeggiare con il territorio i vent’anni di legame (definito matrimonio, a proposito di lessico familiare…) con il Gruppo Italiano Vini, la più grande azienda vitivinicola del nostro Paese per numero di bottiglie prodotte, che riunisce sotto il suo cappello quindici aziende vinicole storiche e di prestigio.

Durante la serata Luigi Seracca e Cristian Scrinzi (amministratore delegato) hanno raccontato, insieme al management di GIV e la moderazione del bravo Davide Gangi di Vinoway, il futuro dell’azienda, ciò che vogliono essere, quello su cui stanno lavorando.
Sostenibilità e artigianalità sono state le parole ricorrenti della serata: la sostenibilità intesa come certificazione ambientale “perché occorre preservare le risorse per le generazioni future” e al biologico, considerato come prerequisito della qualità. Ma anche come attenzione all’ambiente in senso lato: coltivazione dei terreni in asciutto (irrigando il meno possibile); cura del bosco annesso alla proprietà di 17 ettari per la ripopolazione della fauna locale; campi sperimentali dove si allevano i vitigni minori come il Moscatello Selvatico (una delle poche cantine salentine ad allevare questo vitigno “minore”, imparentato secondo gli studiosi con il Moscato d’Alessandria) o lo Zagarese, di origini croate e considerato il padre del Primitivo; prossima realizzazione del museo dell’alberello, un camminamento in mezzo ai vecchi vigenti coltivati ad alberello. E poi tanta manualità anche nelle pratiche agronomiche, ricorrendo ai vecchi sistemi di una volta, la intramontabile zappa o la sfogliatura manuale, utilizzate in primis dal papà Vitantonio, che segue personalmente i vigneti tutti i giorni.
Fulcro della piacevolissima serata una selezione di vini di Castello Monaci, ciascuno abbinato ai piatti realizzati dai giovani chef protagonisti della scena gastronomica salentina.

Andrea Godi, pizza chef di 400 Gradi di Lecce, ha preparato due fantastiche pizze: una base bianca con mozzarella fior di latte, ricotta mista, polvere di zenzero, capocollo di Martina Franca e menta e una base rossa con pomodoro giallo, stracciatella fresca, pesto di basilico, olio evo e basilico fresco in abbinamento ad Acante, Fiano Salento Igt. Il nome è un termine dialettale che significa “vuoto” a voler sottolineare la sua facilità di beva e di abbinarsi a molti piatti. Mediterraneo
Solaika Marrocco, del Primo Restaurant di Lecce ha preparato un finger food letteralmente andato a ruba con burro di mele, gamberi crudi e cialda al cardamomo e il piatto “Dedica al Primitivo Piluna” in cui un letto di composta di ciliegie profumate al Primitivo ospitava una tagliatella di seppia e ciliegie fermentate. Abbinato al PILÙNA Primitivo Salento IGT, il cui nome è un inno a vecchi contenitori di cemento un tempo utilizzati per conservare olio e vino. Esotico
Giovanni Pellegrino, chef visionario ci ha stupito con “L’orto del castello” un tripudio di ortaggi e colori in compagnia delle lumache salentine, abbinato al profumato Petraluce, Verdeca Salento IGT, nome ispirato ai riverberi di luce sulla pietra leccese che caratterizza le nostre latitudini. Fiabesco
Alessandra Civilla, di Alex ristorante di Lecce, ha realizzato una ceviche di verdure e gambero viola di Gallipoli e “E La chiamano Parmigiana” una parmigiana di mare servita su bottiglie di Kreos, appositamente lavorate, il vino proposto in abbinamento, unico rosato prodotto dalla cantina, un Negroamaro Rosato del Salento IGT, che si richiama al mito di Eos, la dea dell’aurora definita da Omero “dea dalle dita rosate”, per l’effetto nel cielo all’alba. Originale
Francesco Pellegrino, invece, ci ha deliziati in chiusura con una “Tarte au citron” , tartelletta con crema profumatissima al limone, servita insieme al Moscatello Selvatico Passito Salento IGT. Delicatissima
In chiusura sulla bellissima terrazza, col sottofondo di una disco music “sempreverde”, Andrea e Diego del Quanto Basta di Lecce, hanno preparato dei fantastici cocktail con i vini dell’azienda: il Verdejto con il Petraluce Verdeca; il Monaco Maru, con il Maru (Negroamaro Salento Igt) e Salto nel Passito con il Moscatello Selvatico Passito. Divertenti
La serata ci ha regalato l’opportunità di godere della bellezza della struttura, dei magnifici giardini, degli scorci antichi del castello, della terrazza intima e curata, di una splendida vegetazione dove tutto – ma proprio tutto – era al suo posto, lindo e pulito. Forse, proprio, come solo una famiglia sa fare.